Abbiamo sempre vissuto nel castello – Shirley Jackson [Recensione]

Ho scoperto Shirley Jackson da circa un anno e sto cercando di recuperare tutti i suoi libri e racconti. Oggi vi parlo di Abbiamo sempre vissuto nel castello (il mio preferito!).
Buona Lettura!
🙂

Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
Autrice: Shirley Jackson
Casa editrice: Adelphi (1 aprile 2009)
Numero pagine: 182
Prezzo copertina: 18 €
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Trama: “A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”; con questa dedica si apre “L’incendiaria” di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l’Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i “brividi silenziosi e cumulativi” che – per usare le parole di un’ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo “La lotteria”. Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male – un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai ‘cattivi’, ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.

“Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore.  Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.
L’ultima volta che ho dato un’occhiata ai libri della biblioteca sul ripiano della cucina ho visto che il prestito era scaduto da cinque mesi, e mi sono chiesta se ne avrei scelti altri sapendo che erano gli ultimi, quelli che sarebbero rimasti lì per sempre.  Spostavamo di rado le cose, noi Blackwood; rivoluzioni e cambiamenti non sono mai stati il nostro forte. Eravamo sempre lì a trafficare con piccole cose transitorie di superficie, libri, fiori e cucchiai, ma sotto sotto potevamo contare su una solida base di oggetti che si tramandavano di generazione in generazione. Ogni cosa doveva rimanere al proprio posto.”

Mary Katherine e Constance Blackwood sono due sorelle che vivono segregate in casa insieme al vecchio zio Julian. La gente del paese non le vede di buon occhio, a causa di dissapori passati e per il mistero che aleggia su di loro: tutta la famiglia di casa Blackwood, ad eccezione delle due sorelle e del vecchio zio, è morta avvelenata. La fautrice di un così efferato delitto pare sia stata Constance. Nonostante ciò alcune vecchie amicizie della famiglia continuano a mantenere rapporti con le sorelle che soffrono di evidenti disturbi mentali. Le due, insieme allo zio, vivono una vita tranquilla e sono felici della loro routine. La loro settimana è scandita da azioni prestabilite e ripetitive, che per Mary Katherine sono dei veri e propri rituali che servono a mantenere lontano le cose negative.

Questo ristretto gruppo famigliare vive in una sorta stagno isolato. A movimentare le acque arriva Charles Blackwood, un cugino che all’inizio spaccia la sua comparsa con un voler risanare i rapporti interrotti dai loro genitori. In realtà i suoi scopi sono ben altri, e la sua presenza porta solo problemi e turba in modo irreversibile la vita delle due sorelle. Alla fine la follia avrà la meglio.

Leggere una qualunque storia di Shirley Jackson significa immergersi nel delirio. L’autrice nei suoi scritti racconta il disagio sociale, l’alienazione e la follia. Viene definita come una scrittrice horror, ma le sue storie sono prive di mostri, fantasmi, sangue e qualunque altra caratteristica che oggi associamo al suddetto genere.

Shirley Jackson indaga la psiche, ma non fornisce spiegazioni, non sappiamo il motivo di determinati comportamenti, vengono narrate solo le conseguenze. Leggiamo, per esempio, della terribile morte toccata ai vari membri della famiglia Blackwood, ma non ci viene raccontato chi siano o cosa abbiano fatto. Delle stesse protagoniste non viene detto granché: sono donne isolate dal mondo, solitarie, incapaci di relazionarsi con il mondo esterno e che hanno bisogno di qualcuno che le guidi.

L’autrice fotografa un breve lasso di tempo, raccontando cosa succede in quel preciso momento, dà qualche informazione frammentaria del passato, ma si concentra sul presente. Noi lettori siamo gli spettatori di un determinato momento e nulla ci è dovuto.

La narratrice della storia è Mary Katherine, ragazza di diciotto anni dal carattere molto infantile. Ha una fervida immaginazione e una volta chiuso il libro viene il dubbio se quello che abbiamo letto non sia il frutto della sua fantasia. Constance è descritta come docile, gentile e apprensiva, votata completamente alla famiglia. Lo zio Julian è un anziano brontolone che vuole scrivere un libro su ciò che è accaduto il giorno dell’omicidio dei suoi cari. Charles Blackwood è quello che Mary Katherine identifica come il nemico:  è un uomo perfido e arrivista, che cerca di circuire le sorelle per appropriarsi dei loro beni. E poi c’è il contesto in cui si muovono questi personaggi: un paese fatto di gente che odia la famiglia Blackwood e che non manca di mostrare il proprio risentimento, anche se… No spoiler! 🙂

Una delle caratteristiche principali di questo libro è che, nonostante non accada nulla di eclatante – tralasciando le battute finali- la tensione è sempre molto alta. Inoltre non si conoscono né il tempo e né il luogo della storia, come a dire che la cattiveria  della gente, i problemi mentali delle due sorelle, l’abbandono, ecc… sono attuali sempre in tutto il mondo.

Abbiamo sempre vissuto nel castello è una lettura che rapisce il lettore, bella, ma allo stesso tempo molto drammatica.

Consigliatissima!

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