Il racconto dell’ancella: un parere controcorrente

Qualche sera fa ero davanti la mia lista di libri da leggere. Come al solito, guardavo e riguardavo tutti i titoli per cercare di capire quale potesse essere quello giusto. La scelta è ricaduta su Il racconto dell’ancella, scritto da Margaret Atwood. Il motivo? La storia ha la mia stessa età ed è una vergogna che io non abbia ancora letto un libro di cui parlano benissimo quasi all’unanimità, consacrandolo come un capolavoro. Inoltre ho scoperto che esiste una serie tv ispirata al libro: The Handmaid’s Tale, uscita nel 2017, ideata da Bruce Miller e vincitrice di nove emmy awards e due golden globe.

Di seguito vi propongo la mia recensione, ma vi avverto, è un po’ in contrasto con i tanti pareri positivi.
Buona Lettura!
🙂

Titolo: Il racconto dell’ancella
Autrice: Margaret Atwood
Casa Editrice: Ponte alle Grazie (1 giugno 2017)
Numero Pagine: 398
Prezzo Copertina: 16,80 €
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Trama: In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c’è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull’intreccio tra sessualità e politica. Quello che l’ancella racconta sta in un tempo di là da venire, ma interpella fortemente il presente.

“Noi esistiamo per scopi di procreazione, non siamo concubine, geishe, cortigiane. […] Non dobbiamo avere qualità di intrattenitrici, non è lasciato spazio al risvegliarsi di desideri segreti, nessun allettamento speciale dev’essere concesso da parte loro o nostra, né ci deve essere il più piccolo appiglio per l’amore. Noi siamo dei grembi con due gambe, nient’altro: sacri recipienti, calici ambulanti”.

Il racconto dell’ancella è un racconto distopico ambientato negli Stati Uniti, nella neonata Repubblica di Galaad, in cui viene instaurato un regime mono teocratico. Il potere è nelle mani di pochi, i cittadini sono delle pedine che devono muovere i meccanismi del sistema, rispettando i propri ruoli, pena la tortura e la morte. L’influenza religiosa è molto forte, ed è alla base del regime.

Le donne rimaste fertili sono considerate alla stregua di contenitori. Il loro scopo è partorire bambini e vengono chiamate le Ancelle. Vestono di rosso e indossano un copricapo bianco che impedisce loro di vedere ed essere guardate in viso. Prima di ricoprire il ruolo di ancella seguono una formazione che le prepara (e indottrina!) al loro “lavoro” e ai comportamenti che devono mantenere per non essere punite. Una volta pronte, ognuna viene assegnata a degli uomini di potere per cercare di rimanere incinte. Perdono ogni diritto, persino il loro nome, che viene cambiato diventando sinonimo di possesso: Difred – il “nome” della protagonista – significa che quell’ancella è proprietà di Fred, ovvero il comandante a cui è stata assegnata. Se cambia famiglia, e quindi proprietario, il suo nome diventa un altro.

Quando riescono a partorire un bambino sano, guadagno un’immunità che non le fa finire nelle “colonie”, dove vivono le “nondonne”. Hanno tre tentativi per riuscire ad avere la gravidanza, con altrettanti uomini, dopodiché il loro destino è segnato.

“Ogni mese aspetto il sangue, impaurita, perché se arriva significa incapacità. Sono stata di nuovo incapace di esaudire le attese altrui, che sono divenute mie”.

Il bambino, una volta nato, viene subito affidato alla coppia dove l’ancella ha fornito i propri servigi. Non è possibile sapere, con visite approfondite, se il bambino possa avere delle problematiche o il suo sesso. La gravidanza va portata a termine in qualunque caso e a qualunque costo. L’aborto è negato e il parto avviene in maniera naturale. Il sesso è visto come qualcosa di aberrante e sbagliato, necessario solo per la procreazione. Anche se sono presenti dei bordelli che vengono nascosti e non dichiarati dal regime.

I dottori che in passato praticavano l’aborto vengono cercati, uccisi e i loro cadaveri appesi al muro e mostrati in un pubblica piazza, come anche i politici che danno fastidio o chiunque non rispetti le regole. Attraverso la religione il regime cerca di irretire le persone, dando per buoni e riproducendo dei rituali scritti addirittura nel Vecchio Testamento.

In questo contesto Difred, che prima del regime era una donna con un vita normale, è costretta a indossare i panni da ancella. La storia è il racconto della sua attuale vita e quotidianità. Prima era libera di lavorare, di aver i suoi soldi e il suo conto corrente, di mettere i vestiti che voleva, di scegliere se avere o meno figli… insomma prima era una persona con dei diritti. La nuova società non ammette la parola libertà, soprattutto se accostata ad una donna. Il regime le ha private lentamente di tutto, persino del proprio nome, costringendole a osservare due doveri: obbedire e fare figli.

<<Pensate alla situazione in cui si trovavano prima, pensate ai bar di per sole donne, all’indegnità degli appuntamenti a sorpresa. Era il mercato della carne. […] Oppure se avevano un lavoro, dovevano lasciare i figli al doposcuola o affidarli a qualche donna ignorante e brutale, che dovevano pagare loro stesse, sottraendo il denaro alle loro misere buste paga. Il denaro era l’unica misura del valore, per tutte, l’essere madri non dava diritto al rispetto. Non c’è da meravigliarsi quindi che stessero addirittura rinunciando alla maternità. Ora , invece, sono protette, possono adempiere in pace ai loro destini biologici, con pieno sostegno e incoraggiamento. […]>>.

L’autrice inserisce diverse digressioni che portano il lettore nella vita precedente di Difred, quando poteva indossare una minigonna, fumare una sigaretta, vivere una vita normale. Questi ricordi sono pregni di una velata malinconia.

La storia mette in evidenza la ribellione fatta di piccoli gesti che, man mano che si va avanti, diventano sempre più importanti, andando in contrapposizione con un regime dove nessuno è libero di essere, fare e pensare, e che mantiene il controllo attraverso punizioni corporali e, a volte, con la morte.

La ribellione di Difred sta nell’incontrare in segreto il suo comandante, leggere delle riviste, giocare con dei giochi da tavolo, spalmarsi l’olio per il corpo. Cose banali, ma se venisse scoperta le conseguenze sarebbero terribili. Il comandante è un uomo annoiato ed egoista. In realtà non ha a cuore Difred, la usa come un animaletto da compagnia. Serena Joy, la moglie del comandante, è una donna triste e frustrata, dilaniata dal dover tenere la Difred di turno dentro casa e assistere alla “Cerimonia”, ovvero il momento in cui il marito ha un rapporto sessuale con l’ancella per provare a metterla incinta.

Man mano che la storia va avanti le situazioni restano statiche. Continuiamo a leggere la cronaca fatta da Difred, che è anche la voglia narrante.

La storia ha un andamento molto (troppo!) lento, ed è ricca di descrizioni, talvolta inutili. Si racconta una quotidianità reiterata, non ci sono colpi di scena o eventi che rendono il lettore curioso. Questa caratteristica mi ha delusa un bel po’, anche perché ho fatto veramente fatica a leggerlo, ma era troppa la voglia di capire perché il libro è stato consacrato come un capolavoro.

Il racconto dell’ancella è stato scritto nel 1985 e nonostante siano passati trentacinque anni, è molto attuale. Sembra essere un monito alle nuove generazioni: “combattete per i vostri diritti! Non subite in silenzio! Altrimenti andrà sempre peggio”. Esattamente come è successo a Difred: prima le è stato bloccato il conto corrente, poi è stata licenziata e alla fine ha perso tutti i suoi diritti ed è stata costretta a dovere adempiere a due doveri, obbedire e procreare.

I recenti eventi dimostrano ancora di più l’attualità di questa storia: pensate che in Umbria gruppi di donne sono scese in piazza a manifestare vestite da ancella, contro una legge che vieta l’aborto farmacologico in day  hospital.

Inoltre, il libro ricorda le lotte che molte donne sono costrette ad affrontare ogni giorno, fra le tante: il diritto alla legge 194, che ancora oggi non viene tutelato; la presenza di medici obiettori nelle strutture senza la possibilità di scegliere un medico che non lo sia; la parità salariale. E tratte tematiche importanti quali: Il forte peso che la religione ha su determinati argomenti; l’utero in affitto; la maternità vista come un tassello necessario a rendere una donna perfetta e degna di rispetto.

La storia ha due finali: quello che conclude le vicende di Difred e un epilogo metanarrativo in cui vengono analizzate le possibili fonti del racconto presentato ad un convegno di studi sul periodo inerente la “repubblica di Galaad”, del quale gli studiosi stanno cercando di ricostruire origine ed evoluzione.

Il finale legato alla protagonista non è una vera e propria conclusione. Le vicende vengono troncate di netto e l’intera storia viene fatta passare per una registrazione trovata molti anni dopo: ma come ha fatto Difred a registrare le ultime vicende narrate? E come è riuscita a registrare dei nastri senza farsi scoprire, se le veniva difficile persino nascondere un fiammifero?

Inoltre non è ben chiaro come la fantomatica repubblica di Galaad sia vista dal mondo esterno, del quale non viene fornito nessun dettaglio. È palese che il regime sia presente solo a Galaad, lo si capisce dalla scena in cui dei turisti vogliono fotografare due ancelle, quasi come se fossero un’attrazione. Possibile, però, che nessuno faccia o dica niente? Le donne non hanno diritti, i bambini vengono strappati ai propri genitori e affidati ad un’altra famiglia. I medici vengono uccisi, così come i politici che danno fastidio. Chi non serve alla società e mandato a morire nelle colonie, ovvero in dei campi di concentramento.
L’unica giustificazione è che il racconto è fatto da Difred, che non può informarsi e sapere, quindi, cosa accade nel mondo esterno:

“Vivevamo, come al solito, ignorando. Ignorare non è come sapere, ti ci devi mettere di buona volontà.
Nulla muta istantaneamente: in una vasca da bagno che si riscaldi gradatamente moriresti bollito senza nemmeno accorgertene”.

A dare una risposta alle tante domande che vengono in mente leggendo il libro ci dovrebbe pensare “I Testamenti”, sequel uscito nel 2019, ben trentaquattro anni dopo, che non penso leggerò mai.

Trovare una recensione negativa di questo libro è impossibile, e la cosa non mi meraviglia: i temi che tocca sono importanti, è scritto bene, gli spunti di riflessione sono tantissimi e, nonostante la sua veneranda età, è una storia molto attuale. Ma l’ho trovato eccessivamente prolisso e statico. Se proprio dovessi consigliarlo direi: “Leggilo, ma considera che è una storia estremamente lenta, priva di colpi di scena”.

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