1791- Mozart e il violino di Lucifero è un libro che ho iniziato a leggere piena di entusiasmo e che ho chiuso con l’indomita voglia di lanciarlo dalla finestra.

Trama
Si può indagare su un violino come s’indagherebbe su un delitto? Si possono utilizzare i frammenti di un prezioso strumento accidentalmente stritolato tra le porte automatiche di un teatro come indizi di un crimine che trova le sue radici nel passato e solo nel presente può essere svelato? Il bisogno di conoscere la verità porterà il maestro Flavio Tondi, virtuoso del violino, uomo serio e metodico, ma dalla vita agitata da donne fatali e ricorrenti, ad affrontare una ricerca che lo condurrà in bucolici cottage della campagna inglese, fatiscenti palazzi parigini e, infine, sul podio del teatro di Astana in Kazakistan, dove la sua ossessione troverà pace e pace potrà donare non a lui solo, ma a tutta l’umanità. Un thriller storico che partendo da uno sperduto monastero secergesco si sviluppa fino ai giorni nostri, una storia fantastica, a briglia sciolta, temperata dallo sforzo di aderire ad accadimenti reali, a personaggi esistiti: conti, marchesi, principi illuminati, ma anche contadini spezzati dalla miseria, barbieri eviratori, giovani puttanelle spregiudicate, tutti rivisitati in chiave bizzarra e spesso spietata, tanto quanto spietate sono state le loro vite. Su tutti, la lancinante umanità di Venanzio Rauzzini, l’unica voce di castrato amata da Mozart.
Recensione Veloce
La storia, per quanto possa sembrare interessante, non mi ha per nulla preso. Ho fatto fatica a seguirla, mi sono persino vista costretta a fare delle sorte di mappe concettuali per non perdermi fra le varie vicende e personaggi. La prima parte è composta da una serie di capitoli che saltellano nel tempo, il libro infatti abbraccia un arco temporale molto ampio, ma non riesce a gestirlo bene. Vengono raccontate storie diverse senza apparenti collegamenti, come se stessimo leggendo un raccolta di racconti e non un romanzo; e ci sono fin troppe “pedine” che si muovo in scacchiere sparse. Insomma, un libro che, soprattutto all’inizio, è molto caotico.
Conosciamo hacker, suore e uomini malefici; assistiamo a un’antica profezia, all’acquisto di uno Stradivari e alle continue copulazioni di vari personaggi.
Nel mezzo delle vicende vengono inoltre piazzate disquisizioni filosofiche che, per quanto alcune siano interessanti, appesantiscono una storia che già di per sé fatica a partire. Dopo più di cento pagine inizia ad aleggiare un mistero concreto: nessuna supposizione o storia del passato, finalmente, un evento e un enigma da risolvere. Il problema però è che ci si dilunga troppo, ci sono scene di sesso del tutto gratuite, e le vicende sono così arzigogolate che si ci perde nella trama: arriviamo al traguardo delle duecento pagine e capiamo che la storia si concluderà abbastanza velocemente poiché ancora nulla è decollato, continuiamo a leggere misteri su misteri…. e mancano poco più di cento pagine alla fine.
Il libro poteva essere costruito in modo diverso, alcuni personaggi si potevano eliminare (l’ex moglie argentina di Flavio, per esempio, che a parte dare l’etichetta di donnaiolo a quest’ultimo, non ha alcuna utilità ai fini della storia).
Non si può però dire che il libro sia scritto male, anzi, è ricco di storia e, soprattutto i protagonisti, sono costruiti in maniera meticolosa. Purtroppo però non mi ha per nulla coinvolto, non ho sentito la frenesia di leggere il più veloce possibile per scoprire l’epilogo delle vicende, inoltre non ho avuto la sensazione di leggere un romanzo, ma una cronaca.
Quando ho chiuso il libro ho tirato un sospiro di sollievo: finalmente l’ho terminato.
Pollice verso.
Quindi il violino del diavolo suona una litania e non una melodia ?
Peccato, mi ispirava l’introduzione 😢
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Non suona proprio! 😛
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🤣
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E dire che Salani normalmente un minimo lo assicurava, ma già Sellerio dopo la dipartita di Elvira, mi sa che stia perdendo quota, temo che siano i tempi… tanti autori e libri, gran pubblicità e sotto la copertina, niente. E così è in ogni campo, non solo in editoria.
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Già, è una triste verità quella che descrivi.
Io a volte, riguardando la lista dei libri che ho letto, mi rendo conto che di libri belli belli belli ne ho trovato veramente pochi.
Sarà che siamo diventati troppo difficili e che pretendiamo troppo?
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Ecco, quest’ultima tua frase pone un punto di domanda a cui non è facile rispondere, quanto meno così d’acchito. Meriterebbe un approfondimento da tesi di laurea con relative ricerche e assunzione di dati. Cercando comunque una risposta, così al momento, mi viene da sintetizzare che oggi contano come mai in passato i numeri (complice il salto della tecnologia) e la quantità non può che andare a scapito della qualità.
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Sono d’accordo con te, anche se ti posso assicurare che un fattore fondamentale è il dio denaro, riconducibile alla qantità. Ci sono case editrici grandi che pubblicano libracci solo perché l’autore è un personaggio in voga. Quindi poca importa la qualità, ben venga la quantità!
Mentre ci sono case editrici piccoline che danno la possibilità ad autori capaci di farsi conoscere.
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Vero, sono molti i casi di scrittori emergenti valorizzati dalle piccole c.e. e che poi passano alle grandi. Capita (o capitava) anche che molte c.e. pubblicassero schifezze commerciali appunto per avere poi una riserva da investire in libri di valore. Resta che attualmente se sto al panorama offerto da Amazon o dalle varie pubblicità in varia forma (dai banner alle manifestazioni cosiddette letterarie), ricavo un’impressione scoraggiante di appiattimento. Dove non arriva la pubblicità dichiarata o sommersa, suppliscono le relazioni, il do ut des latente. Grazie al cielo, esiste una riserva tale di ottimi testi da essere sempre in debito di letture.
Sto leggendo “Guerra e Pace” intervallando, a secondo dell’umore, con Cechov, un pozzo senza fondo di novelle.
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