AUTORE: Junot Díaz
TRADUZIONE DI: Silvia Pareschi
GENERE: Romanzo
EDITORE: Mondadori 2008
PREMI: Pulitzer per la letteratura 2008
TRAMA: “La breve favolosa vita di Oscar Wao“: già dal titolo si capisce che il romanzo non avrà un lieto fine classico. Ma non importa. Perché la vita di Oscar – ribattezzato Wao da un amico dominicano che storpia il nome di Wilde è davvero favolosa. Da favola. Da favola letteraria, magica e realistica al tempo stesso. Nasce e cresce nel New Jersey, il grasso, poco attraente, intelligente e parecchio eccitato Oscar. Sua madre Belicia è una ex reginetta di bellezza scappata da Santo Domingo perché perseguitata dal clan del dittatore Trujillo, la sorella, Lola, è una ragazza dolce, assennata e insieme spericolata come tutte le dominicane di Diaz. L’intero albero genealogico di Oscar, come quello di altre migliaia di dominicani, è composto da figure torturate, espropriate, martirizzate.
Oscar è un giovane di origini dominicane ossessionato dalle donne per le quali prova attrazione profonda ed una vera e propria venerazione. A dispetto del suo sangue sudamericano Oscar non trasuda sex-appeal da tutti i pori, anzi Oscar è gordo (grasso),impacciato ed incredibilmente nerd. Appassionato di libri fantasy e giochi di ruolo, conosce più la lingua degli elfi che lo spagnolo ma non è questa la causa della sua fallimentare vita amorosa, non l’unica almeno. Oscar è perseguitato da fukù, una sorta di maledizione che da tre generazioni colpisce la sua famiglia in svariati modi. La favolosa vita di Oscar è il pretesto grazie al quale ci viene raccontata la vita dell’intera famiglia Cabral – de Leon. Quello che all’inizio può sembrare uno young-adult sull’educazione sentimentale di Oscar è in realtà un racconto che si divide tra passato remoto e passato prossimo, si parte dal ragazzo impacciato figlio di emigrati nato e cresciuto nel New Jersey e si arriva a Santo Domingo all’epoca del dittatore Trujillo a scoprire la storia del nonno Abelard, della madre Balicia e de La Inca. Questo romanzo parla di dittatura e repressione, della speranza e della rabbia di ogni emigrato, del sogno americano, di disillusione, di una Santo Domingo che anni dopo la fine della dittatura è ancora assoggettata a dinamiche di ferocia e corruzione, dinamiche che Oscar sfida per amore. La bravura di Diaz sta nel descrivere tutte le vicende in modo dissacrante con uno stile ironico, pieno di riferimenti nerd e parole in gergo, persino nelle note a pie di pagina abbandona il classico stile asettico per dare spazio a chiarimenti secondo il proprio punto di vista. Le voci narranti della storia sono due: ad aprire il racconto è la voce di un osservatore esterno che racconta le vicende della famiglia, in seguito è Lola, la sorella bella ed indipendente di Oscar a raccontare parte della storia approfondendo il proprio personaggio e descrivendo meglio il suo rapporto con il fratello del quale è l’unica vera amica. Dopo la parentesi di Lola ritorna la voce narrante dell’osservatore esterno ma stavolta lo si percepisce come un personaggio vicinissimo alla famiglia e coinvolto personalmente nella vita di Oscar. I personaggi del racconto sono assolutamente credibili, ognuno ha una propria storia ed una propria personalità ben definita, la dura Belicia mamma single emigrata negli States, con due figli, due lavori ed un cancro al seno, la forte e ribelle Lola vincente nello sport e nella vita, il pavido nonno Abelard che per paura non prende una posizione netta riguardo al regime; La Inca, nonna acquisita, vedova dalla fede incrollabile; Yunior tipico dominicano sciupa femmine innamorato di Lola ma che non riesce ad essere fedele nel quale lo stesso Diaz afferma di aver messo un po’ di sé ed ovviamente Oscar, il compagno di classe che ognuno di noi ha avuto, inguaribile romantico con la testa sulle nuvole ed il cuore puro.
Persino i personaggi secondari hanno una loro psicologia ben definita come, ad esempio, lo zio tossicodipendente e semplicista o le varie ragazze di cui si innamora Oscar.
A fare da sfondo alle vicende da una parte gli Stati Uniti, terra piena di possibilità ma che sembra non riuscire ad integrare mai completamente gli emigrati relegandoli nei loro ghetti e dall’altra i Caraibi pieni di contraddizioni, di bellezza e atrocità.
Ho amato questo libro innanzitutto per lo stile, un racconto che non risulta mai pesante, sembra di ascoltare un amico che, tra qualche imprecazione e qualche citazione nerd che magari non cogli, ti racconta una storia. Mi sono affezionata ad ogni personaggio, in particolare ai personaggi femminili decisamente più forti ed intraprendenti, in questo racconto sono le donne che, nonostante tutto, riescono a sconfiggere la maledizione e ad uscirne, se non proprio vincenti, con la consapevolezza di non essersi arrese di fronte a nulla. Assolutamente consigliato.
Citazione: Se anche voi non credete nel fukù, il fukù crede in voi.
P.S. Mentre scrivo sono in ufficio, faccio una pausa-cibo-spazzatura e vado al distributore, scelgo i kitkat, metto i soldi, schiaccio il pulsantino e la confezione fa un’improbabile capriola per cui non cade nel cassetto da dove potrei prenderla ma nello scompartimento di sotto…il fukù ha colpito anche me!