Memorie di una collegiale #4
Sapere che una ragazza ha vissuto in un collegio nel nostro secolo, comporta sempre stupore da chi apprende questa notizia così assurda. Le domande, come vi ho già raccontato, vertono tutte sulla quotidianità:
“Vi cucinano loro?”. No puoi tranquillamente morire di fame.
“Indossate una divisa?”. No, uso il collegio solo per andare a dormire, mica devo diventare suora.
E via dicendo.
L’orario di rientro è una specie di golosa domanda-riserva poiché, andando a minare pesantemente la libertà personale, para brutto chiedere a che ora una donna maggiorenne è costretta a ritornare a casa.
Nonostante le titubanze legate a una questione di etichetta, l’interlocutore divorato dalla curiosità, dopo aver tentato di rompere il ghiaccio chiedendo informazioni generiche, arriverà comunque a domandare:
“Ma se la sera volete uscire? Avete un orario di rientro?”
Ebbene sì.
Quando vai in un collegio, volente o nolente, devi sottostare a delle regole che a volte rappresentano una pura formalità ma in alcuni casi sono rigidi diktat da seguire. L’orario di rientro, come potete ben immaginare, fa parte di questi ultimi: Perché, io suora, dovrei aspettare te, lasciva ragazzina che esce sicuramente per compiere atti impuri, quando la mattina mi devo svegliare prima dell’alba per pregare?
Ho vissuto in due collegi diversi, che nel prosieguo chiamerò Alcatraz e Sing Sing, e in entrambi avevo l’orario di rientro che, una volta superato, ti faceva in automatico diventare una str*nza poco di buono.
Ad Alcatraz la sorveglianza è sempre stata abbastanza massiccia, ma alle suore non è mai interessato delle ragazze, loro non volevano rotture di scatole e noi rappresentavamo degli esseri dotati di intelletto che, ogni 5 del mese, dovevano pagare la retta. Come arrivavano le 22 il portone veniva chiuso e potevi anche essere morta, fuori al freddo e al gelo, con l’auto in panne o chissà cos’altro… a loro non interessava.
Per controllare chi fosse dentro o fuori, utilizzavano un metodo abbastanza semplice. Tutte le ragazze, prima di uscire, quando passavano dalla portineria, dovevano lasciare la chiave della propria stanza all’interno di un cestino. Loro erano così informate dei nostri spostamenti, ma tanto era una “sicurezza” presa per prendere in giro i genitori un po’ più premurosi, come per dire: “noi sappiamo quando le vostre figlie impure escono per fornicare”. In realtà, il cestino e le sue chiavi, servivano solo per sapere se passare o meno una telefonata pomeridiana.
La questione rientro diventava un po’ più complicata nel momento in cui trovavi Suor Black Mamba alla portineria. Lei, giovane e bella, ci odiava come se fossimo state noi a farle prendere i voti. Alle 21.30 chiudeva il portone e la mattina andava a lamentarsi dalla superiora dei fantomatici ritardi.
A Sing sing invece, le suore si sentivano quasi responsabili di noi collegiali. Non esisteva chiudere il portone senza sapere che fine avessimo fatto. Qui, per monitorare i nostri spostamenti, veniva utilizzato “il cartellino”. Ogni ragazza ne aveva uno che spostava, di volta in volta, nel corrispondente cartellone, appeso fuori dalla segreteria, “in casa” o “fuori casa”. Per evitare ritardi avevano messo a punto la tattica dello sfinimento: Il rientro era alle 22.30 (il sabato alle 23.30), cinque minuti prima dello scoccare dell’orario prestabilito, la suora di turno telefonava per ricordarti che ore fossero e continuava ad intervalli regolari fin quando non rientravi.
Inoltre, a Sing sing, era possibile usufruire di permessi straordinari- ad Alcatraz nonsiammai! – e solitamente dipendeva dall’umore della suora costretta ad espletare il suo “turno di guardia”. In base alla giornata, era possibile tirare una mezzora in più. Alcune raccontano leggende di ragazze che sono state in grado di convincere la suora ad aspettarle addirittura per un’ora.
Essere costrette a rientrare ad un orario prestabilito, credo, sia stata una delle cose più difficili da accettare. Una pizza con le colleghe di corso, una passeggiata, una festa di compleanno, il cinema, il teatro e qualunque altro evento che prevedeva come arco temporale la sera, diventava una corsa contro il tempo. E, spesso, a causa di questa restrizione era anche difficile rilassarsi e godersi “l’ora d’aria”.
Con il tempo, abbiamo imparato ad aggirare l’ostacolo: al posto di ciondolare per il collegio come delle povere anime in pena organizzavamo feste, gruppi visioni e tanto altro… e vi posso assicurare che spesso sceglievamo di rimanere in collegio al posto di uscire.
Ma queste sono altre storie…
Alla prossima! 🙂
Ancora, ancora…!!
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😄😄😄😄
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È così che ci si tempra il carattere! (battuta semi-seria)
Mi ricordi le mie esperienze da militare, dove al posto delle suore ci sono notoriamente dei caporali. Sono uno della generazione che ha fatto in tempo a incapparci, diciotto mesi, e capisco come tu appaia nei contesti attuali, sfilacciati, protagonista di una storia lunare.
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Credo che il militare non sia paragonabile ad un collegio di suore. Quando litigavamo con loro non ci denunciavano per insubordinazione. 😜😜😜
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Vero! 🙂
Mi ricordi che subito, dopo neanche un mese, ero finito in cella di rigore. Il nome rispecchia fedelmente quel che era. Pochi metri quadrati con le sbarre, occupati quasi totalmente da un ripiano di assi con funzione di letto. Oggigiorno, suppongo che in un posto così non si finisca neanche a sterminare un intero condominio.
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Appunto… dalle suore al massimo ti cacciavano… nessuna cella! 🙂
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E sempre bello leggere stralci di vita vissuta 🙂
Poi scritto così a puntate sembra un po’ un feuilleton 🙂
Si scorge sotto l’ironia una punta di acredine
Ma ci sta 🙂 dev esser stato abbastanza gravoso come periodo …
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L’obiettivo è quello di creare una specie di romanzo a puntate 🙂 l’acredine dopo sei anni di collegio è un sentimento anche troppo nobile :p
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Ah.. buona idea 🙂
In passato alcuni capolavori son nati proprio come romanzo d’appendice ..:)
Si posso immaginare 😀
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Ancora, ancora!!
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❤
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[…] L’orario di rientro […]
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[…] L’orario di rientro […]
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[…] (Avevo già scritto qualcosina qui: L’orario di rientro) […]
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