In questi giorni si parla tanto di coprifuoco. Il caro ministro Draghi ha deciso che fino al 30 giugno, nonostante le aperture, bisogna essere a casa dalle 22 alle 5. La gente tuona: “d’estate si esce a quell’ora! Non si sta a casa!”. E in effetti il nuovo DPCM sembra essere un pochino incoerente: si riapre per chiudere.
Ma non è di questo che voglio parlare.
Il coprifuoco mi ha portato alla memoria ricordi che avevo rinchiuso in un baule a doppia mandata. Perché io, il coprifuoco, l’ho già sperimentato. Solo che non c’era una pandemia mondiale, io vivevo in un collegio.
Ho vissuto parte del mio periodo universitario in due convitti di suore, dove erano presenti diversi tipi di obbligo al rientro: in uno, come scoccavano le 22, venivi chiusa fuori, potevi passare la notte a dormire davanti al portone, che le suore avrebbero comunque riaperto alle 6 del mattino successivo; nell’altro invece le cose andavano in modo leggermente diverso, lì le suore avevano un fare “autoritario materno”, forse perché convinte di essere a capo di un esercito di ragazze orfane minorenni.
L’orario di rientro era alle 22 durante la settimana e alle 23:30 il sabato.
(Avevo già scritto qualcosina qui: L’orario di rientro)
Immaginate le seguenti scene:
Siamo a fine luglio, vestitini leggeri, caldo afoso, passeggiate notturne a caccia di un po’ di fresco.
Giuditta (nome di fantasia) è una giovane fanciulla che, proprio in quel giorno, ha avuto l’esito dell’ultimo esame della sessione, superato con il massimo dei voti, così come anche i precedenti fatti nello stesso periodo. E ora, dopo tante giornate passate sopra i libri, vuole concedersi una serata in spensieratezza. Se lo merita, cazzo!
Cosa si fa in queste occasioni? Si festeggia: una serata con le amiche, un giro per locali, pizza con i colleghi, uscita con quel ragazzo che le ha fatto il filo per mesi … cose normali, se non vivi in collegio.
Decide di uscire con le amiche.
Doccia, trucco, parrucco, si veste con cura. È pronta mezz’ora prima dell’appuntamento, ma non perché sia una persona puntuale, lei sa che tu non può fare ritardo, anche se è sabato.
Sono le 20, è già davanti la pizzeria come da accordi, ma iniziano ad arrivare i soliti messaggi:
“scusa, faccio cinque minuti di ritardo, inizia ad entrare, arrivo subito”
“mi hanno rapito gli alieni, il tempo che mi clonano e mi faccio teletrasportare al ristorante”
e lei, che è anche arrivata in anticipo, cosa che si porterà dietro nella vita a causa di tutta l’ansia vissuta, entra sola e sconsolata e inizia ad occupare il tavolo e guardare il menu.
Sono le 20:45, ormai conosce a memoria gli ingredienti di tutte le pizze.
Sono le 21, finalmente arriva qualcuno.
Sono le 21.30, sono riusciti ad ordinare e ora aspettano che arrivino le pizze. Giuditta, mentre gli altri scherzano e parlano, fa i calcoli mentali del tempo che le resta a disposizione prima dello scoccare delle 23:30 e pensa che Cenerentola ad orari stava messa meglio .
Sono le 22, “Quanto ci vuole ancora? Sono andati a fabbricarla in India ‘sta pizza?” “Cameriere, mi scusi – esordisce con tono gentile affinché non le sputi nella pizza, facilmente riconoscibile perché è quella più semplice da fare per evitare di far perdere tempo al pizzaiolo – ci vuole ancora molto?” “Cinque minuti e arrivano, sono state appena infornate” risponde infastidito il cameriere, senza neanche aver chiesto al pizzaiolo.
Sono le 22:30, arrivano le pizze al tavolo e sicuramente il cameriere ha sputato nella sua.
Ha ancora un’ora, potrebbe addirittura azzardare una passeggiata. Finisce di mangiare dopo cinque minuti, le sue amiche ancora aspettano che il cameriere porti la rotella taglia pizza.
Sono le 23:15, si chiacchiera tranquillamente, Giuditta, sapendo che le è rimasto solo un quarto d’ora, inizia ad accennare di chiedere il conto. Nessuno la caga.
Sono le 23:25, Le sue amiche organizzano il dopo cena, lei lascia i soldi ad una di loro e scappa in collegio.
Sono le 23.35, bussa. La suora apre e inizia a prenderla a male parole, ricordandole che il rientro il sabato è fissato alle 23:30.
Giuditta ogni volta che esce la sera deve sperare che tutto vada secondo i piani e inizia a soffrire di ansia. Il covid ancora non esiste.
Sempre la stessa fanciulla, si convince a uscire con il ragazzo che le ha chiesto un appuntamento per tutto il trimestre, ma che ha sempre rimandato per via dello studio. Per ovvi motivi ha omesso di vivere dalle suore. Ha fatto in modo di organizzare la serata per poter essere in collegio in orario: lui la passerà a prendere per le 19, passeggiata, pizza e poi tutti a casa. Gli ha anticipato che non può fare tardi, mal che vada si inventerà un malore.
Sono le 19, lui le manda un messaggio dicendole che farà tardi perché ha forato.
Sono le 20, la passeggiata è saltata, sono andati direttamente in pizzeria, che è diversa da quella dell’ultima volta, per evitare un nuovo sputo.
Sono le 20:30, hanno ordinato. La pizza non tarda ad arrivare. Passano del tempo piacevole a chiacchierare dell’università e degli amici in comune. Condividono diversi interessi.
Sono le 22:30, decidono di lasciare la pizzeria per fare una passeggiata. Nonostante faccia caldo, si sta bene fuori. Lui le parla di quanto è bello un paesino nelle vicinanze, dove lei non è mai stata, e piacerebbe farglielo visitare nei prossimi giorni.
Tutto sembra andare per il meglio quando…
Sono le 23:15, nel preciso istante in cui lei decide di raccontargli di vivere in un collegio, squilla il telefono. È la suora rimasta di turno in portineria: “Pronto? Cosa è successo?” “Non è successo niente! Ho visto che ancora non sei tornata e sono già le 23.15. Io non ti aspetto come l’altra volta”.
Lei è in imbarazzo, avrebbe voluto che una voragine si fosse aperta sotto i suoi piedi inghiottendola. Cerca di abbassare il volume delle chiamata, speranzosa che lui non abbia sentito. Vorrebbe urlare sproloqui in aramaico antico, ma si contiene: “Sì, ok”, ma la suora, animata da uno spirito bellico, incalza: ”ok, cosa? Io chiamo i tuoi genitori se non torni per le 23:30.”
Sono le 23.20, Giuditta ha preso a male parole la suora al telefono. Lui l’accompagna in collegio. Si salutano con imbarazzo.
Giuditta non uscirà più con quel ragazzo e lo vedrà passare mano per la mano, sotto il suo collegio dopo una settimana, con Lucilla che vive nella casa della studente con dieci coinquiline e fanno festini un giorno sì e l’altro pure.
Il covid ancora non esiste e durante la settimana Giuditta deve rientrare alle 22, quando i suoi colleghi e amici escono per andare alle serate universitarie; e il giorno dopo deve anche sorbirsi i racconti di quanto si siano divertiti. Siccome è impensabile uscire per fare serata e rientrare in orario, Giuditta e le sue coinquiline organizzano feste nel salone del collegio; cantano e ridono la sera dai balconi. Non girano con le mascherine, ma già alle 20 sono in pigiama e sbirciano il palinsesto televisivo per non andare a dormire presto. Qualcuna fa dolci in cucina e qualcun’altra fa esercizi nella sala “palestra” del collegio. Spesso ci sono ragazze che si improvvisano estetiste e parrucchiere, altre passano il tempo davanti Skype a videochiamarsi con amici, amiche e fidanzati.
Non si contano vittime, sono sopravvissute nonostante giovani, pimpanti e vogliose di uscire e divertirsi.
Alla luce di tutto ciò, io sono giunta a una grande e personalissima verità: io credo che anche Draghi abbia vissuto in un collegio e che questa sia la sua vendetta.
To be continued…
SCOPRI TUTTE LE MEMORIE DI UNA COLLEGIALE:
- La verità, vi prego, sulle suore
- 50 sfumature di suora
- Le origini
- L’orario di rientro
- Ma tu odii le suore?
- Luoghi di ritrovo
- Amicizie sigillate da un rotolo di carta igienica e distrutte da una piastra per capelli
- Vogliamo l’albero di Natale!
- La cartellina del demonio
- Qui i maschi non possono entrare!
- La matita cattiva: come ho imparato a farmi i fatti miei
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale