Amici e amiche,
Uno degli argomenti più discussi nell’ultimo periodo, o almeno così sembra dalla mia bacheca facebook, è l’utilizzo del romanesco nella serie tv Strappare lungo i bordi di Zerocalcare.
Siccome ne hanno parlato tutti (o quasi, mia nonna non è sui social quindi ha espresso il suo parere tra una puntata di Tempesta d’amore e una di Forum) spero che nessuno me ne voglia se mi dilungo nell’esprimere il mio parere e usare la vicenda per fare delle riflessioni (niente di serio, ovviamente).
Un artista ha dato alla luce una serie televisiva ispirata ai suoi fumetti e credo che nessuno si aspettasse di sentir parlare i personaggi in dolce stilnovo. Infatti l’autore per mantenere fede alle caratteristiche delle sue opere pregresse e per esprimere al meglio se stesso ha utilizzato il romanesco… APRITI CIELO!
“Non si capisce”, “Vogliamo i sottotitoli”, “Perché non parlano in italiano”… e bla bla bla.
Io sono la prima a lamentarmi quando in un libro trovo spezzoni in dialetto e mi incazzo di brutto se nessuno mi dice che “La lenga a l’àn nen d’os, e púra a fa d’ mal gros” vuol dire “La lingua è senz’osso, ma può fare male grosso”. Ho infatti messo da parte diversi libri scritti in un dialetto ostico e difficile da capire, ma non mi sono presa la briga di dire all’autore come scrivere la sua storia.
In tanti vi siete sparati ventordici puntate di Gomorra, e nessuno si è mai chiesto cosa significasse “vuo fa pesce e pesce” perché, ecchecca$$o, si capisce… anzi, scherzate a suon di “Ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost” “ e avete scassato o ca$$ con “Vienet’ a’ piglia’ o Perdono“.
Il dialetto, amici e amiche, anima le frasi e le parole, facendole danzare nel turbinio delle emozioni che si vogliono trasmettere.
Se una persona mi fa un torto grave e le dico: “Si nu pisciaturo” nella parola pisciaturo ho racchiuso una “filosofia”. Non ha senso dire: “egregio signore lei è un vaso da notte!”.
Se ho a che fare con uno che fa il farfallone, che parlaparlaparla, ma non combina mai niente di concreto, prendo in prestito un termine partenopeo e gli dico: “ Si nu chiachiello” e magari, dato che noi italiani gesticoliamo, faccio pure il verso con le mani, perché u chiachiello… fa chià chià!
E ancora, se sono in un parcheggio e mi fregano il posto che ho atteso con grande pazienza, immaginatemi esordire con un: “esimio, alla sua genitrice!”. Il tipo mi guarda pensando a un brindisi e mi ringrazia senza capire il mio disappunto. Invece quando uso un folkloristico: “a mamt” … il concetto è chiarissimo. Il rancore e l’odio trasudano nella combinazione di quelle cinque potenti lettere.
L’italiano è una lingua fantastica, è vero, ma sono sicura che fra i tanti che si sono lamentati del romanesco c’è chi si lascia andare quotidianamente con anglicismi inutili che fanno tanto “fashion” : call, location, all inclusive, anti aging, competitors…. e bla bla bla…
Ma immaginate di avere a che fare con uno sborone. Vi ha fatto arrabbiare, siete furiosi!
Vi avvicinate minacciosi fissandolo negli occhi, la mano è già nella posizione Michael Jordan che palleggia e al posto di dirgli: “Brò, fly down” esclamate, sempre mantenendo il contatto visivo (che è fondamentale): ” oi zì… vula vascio“. Quello come minimo chiede scusa e vi offre pure il caffè. Perché il dialetto, amici e amiche, fa il suo effetto.
Il dialetto esprime concetti e sensazioni; crea un profondo legame con la propria terra, rappresenta l’identità e le radici delle persone. Enfatizza le emozioni e rende vive parole e\o frasi che dette in italiano non avrebbero senso.
Il dialetto è storia e cultura.
Il dialetto è vita!
Perciò, rispettiamo la parlata altrui, anche perché Squid Game è balzata nelle classifiche delle serie tv più viste e i suoi personaggi parlano in coreano, non mi pare che avete fatto tanto gli schifettosi.
Peace&Love
Tranne Zerocalcare – gusti personali – , condivido parola per parola quello che hai scritto: il dialetto di per sé contiene tutta la sua storia pregressa ed è in grado di attualizzarla, colorando di significati la circostanza in cui viene utilizzata. Viceversa adoperare vocaboli che appartengono alla storia di un altra nazione, significa – a mio modesto avviso – non sapere il senso di quella parola italiana che si è voluta sostituire. Ma questo forse accade per quell’inafferrabile significato di una lingua che non si conosce a fondo. Dimostrando proprio così di conoscerne soltanto il suono.
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Ciao,
per me è veramente assurdo dover utilizzare le parole di un’altra lingua quando noi abbiamo un vocabolario vastissimo. Fino a qualche tempo fa utilizzavo la dicitura TBR (to be read) per indicare su instagram i libri che volevo leggere, ma poi mi son chiesta: perché ?
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E hai fatto bene. A me piace sfogliare riviste di moda dove però le scarpe sono boot, la borraccia si chiama water bottle, la guida al viaggio è detta travel guide ecc ecc. Povera lingua italiana. E poi dicono che c’è analfabetismo funzionale. Io lo chiamerei disfunzionale o più semplicemente diseducato.
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